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La cultura tibetana
2006-10-18 00:00

Le Tangka 

 

Tangka è il termine tibetano per ricamo o pittura a colori su rotoli di tessuto, seta o carta, costituendo un tipo di pittura ricca di caratteristiche culturali dell'etnia tibetana.

Generalmente le tangka sono realizzate su una base di canapa o tessuto grossolano, mentre le più preziose utilizzano la seta. Si dice che quando la principessa Wencheng entrò in Tibet vi avvia portato varie tecniche di produzione, ivi comprese quelle tessili. Dal tessuto di base, emerge che allora queste tecniche produttive erano ormai applicate e diffuse in Tibet.

 

I pigmenti usati nelle tangka sono sostanze opache minerali e vegetali,con una certa proporzione di colla animale e di bile bovina. La preparazione del pigmento è scientifica, inoltre il clima dell'altopiano tibetano è secco, quindi anche dopo centinaia di anni le tangka dipinte con questi pigmenti hanno ancora colori vivaci, come fossero capolavori appena realizzati.

 

I contenuti delle tangka sono collegati alla storia e ai costumi sociali, con una gran ricchezza di temi, fra cui spiccano quelli religiosi.

 

Le sculture di burro di yak 

 

I contenuti espressivi delle sculture di burro di yak sono molto ampi, riferendosi a storie buddiste, della vita di Sakyamuni, storiche e teatrali. I motivi decorativi sono vari: sole, luna e stelle, i fiori, uccelli e animali, edifici, santi buddisti e i funzionari civili e militari. La tecnica di scultura è realistica, dimostrando un livello artistico molto alto.

 

In base alla dimensione e all'utilizzo, le sculture di burro di yak si suddividono in due categorie, ossia le sculture piccole e medie da usare nelle nicchie e quelle grandi ad uso ornamentale. Le sculture di piccole dimensioni per le nicchie sono caratterizzate dalla raffinatezza e ingegnosità di lavorazione dalla varietà di colori e forme e dall'effetto visivo portafortuna. Le sculture per le nicchie sono sistemate insieme a decine o centinaia di pezzi, formando insiemi di straordinario interesse.

 

Il teatro tibetano 

 

Il teatro tibetano è chiamato "Ajilamu" in lingua tibetana, col significato di "sorella immortale", abbreviato in "Lamu". La storia dell'arte teatrale tibetana è molto lunga, le scuole sono numerose e le forme di rappresentazione ricche di caratteri etnici. "La Principessa Wencheng", "Il Principe Nuosang" ed altre sei grandi opere sono ormai diventate dei classici per le loro armoniose melodie, i costumi colorati e le maschere misteriose. Tutto ciò esprime le profonde basi culturali del teatro tibetano.

 

Il teatro tibetano è un'arte drammatica generale che presenta  storie nella forma di canti e danze folcloristici. A partire dal 15° secolo, sulla base di storie buddiste, il monaco Tangdongjiebu della setta Gelugpa compose e diresse personalmente opere di canto e danza aventi come trama delle semplici storie, rappresentandole nelle varie zone, il che costituisce la forma embrionale del teatro tibetano. Attraverso la revisione, completamento, arricchimento e innalzamento artistico ad opera di numerosi artisti popolari, il teatro tibetano ha ben presto perso la forma originale. Quello moderno ha propri libretti, danze e melodie, costumi e maschere per i diversi personaggi ed anche l'accompagnamento orchestrale e corale, costituendo un'arte generale. 

 

Nella regione autonoma tibetana si trovano ovunque compagnie di teatro popolare. In qualsiasi momento nelle campagne si possono vedere le compagnie innalzare grandi tende per dare rappresentazioni sul posto. Per l'occasione i residenti dei villaggi nell'arco di cinque e più km accorrono entusiasti, con folle di spettatori.

 

 

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